Orco Rosso - A Dark Novel
Fuori dalla finestra, mentre finisco di appuntare queste righe, ormai le cime delle montagne si incorniciano d’oro e la loro maestosità fa da araldo al nuovo giorno.
25 settembre, pomeriggio.
Il mio riposo è stato destato da una cupa scoperta. Il cimitero è stato profanato, il parroco è stato quasi colto da malore nell’apprendere la rivelazione. Molte croci sono state spezzate, alcune lapidi divelte ma solo una smossa e il corpo sottratto. Ho chiesto il nome e quando l’ho saputo quasi sono stato colto anche io da un malore. Il fabbro, le sue spoglie mortali almeno, sono state trafugate e non c’è traccia di segni o altro che possa rivelare gli autori (perché ritengo impossibile si possa essere trattato di un uomo solo). La notizia si è sparsa veloce e ha colpito profondamente la signora K**** che si dice sia stata vittima di un improvviso malore. Non si è mai sentito di fatti simili e prego iddio che presto la guardia cittadina possa portare chiarezza. Inizia a fare buio e la luce si agita di nuovo tra i resti della magione.
10 ottobre
Questa mattina, dopo altri fatti di trascurabile entità, ho ricevuto la visita da parte del Dottor F***********, giunto a comunicarmi il suo definitivo insediamento nella dimora avita.
Ha riferito di essersi spostato in una delle poche parti rimaste salve dalla distruzione e dallo scorrere del tempo. Quando ho chiesto a quale parte della casa facesse riferimento, ha risposto, con la riluttanza che ormai sembrava accompagnare ogni nostra conversazione, che si trattava dei sotterranei, nei quali sosteneva di aver trovato il paradiso e la quiete che cercava.
La conversazione è quindi caduta nel vuoto, il mio ospite si è congedato scusandosi per la brevità della visita con la promessa di un nuovo invito a cena.
20 ottobre
La vita sembra aver ripreso il suo naturale corso: dopo la profanazione del cimitero e il successivo susseguirsi di voci che additavano nel ritorno dell’erede dei F*********** nella sua antica dimora, tutto si è acquietato. Il parroco ha provveduto a riconsacrare il luogo anche se qualcuno sostiene che la processione abbia volontariamente evitato il tratto più antico del cimitero, in particolare il mausoleo nero bizzarramente squadrato. La vedova K**** pare si sia ripresa, soprattutto adesso che ha ricevuto la donazione promessa da parte del Dottore. Indubbiamente la mia osservazione non è scevra di malizia, ma sembra che questo atto sia stato provvidenziale per mettere a tacere le voci. In compenso la guardia cittadina è giunta a un nulla di fatto riguardo i presunti responsabili dell’atto sacrilego. Probabilmente, mi è stato riferito con poca convinzione non più tardi di oggi pomeriggio, c’è il sospetto che si sia trattato di un atto vandalico a opera di alcuni girovaghi in cerca di beni preziosi da rivendere. Tendo a tener poco conto di certe osservazioni ma, date le circostanze, mi sono trovato costretto ad accettare questa versione come la più plausibile. Probabilmente qualcuno di essi avrà notato la processione o forse la grande bara avrà lasciato loro supporre che si trovasse ben più di un uomo al suo interno, chissà quali ricchezze avranno creduto di trovarvi oltre ai vermi e alle larve che si contendevano il corpo. Tutto pare tornato a scorrere secondo l’ordine naturale e per me, modesto amministratore di provincia, ritengo che la vita abbia smesso di nascondere sorprese.
23 ottobre
Questa mattina Netitia mi ha recapitato una missiva su carta pregiata. La busta era piccola ed era stata chiusa con della ceralacca nera, sulla quale era impresso il medesimo sigillo presente sopra la porta del mausoleo dei F***********.
Al suo interno, un bigliettino, scritto con calligrafia elegante, nel quale mi si comunicava l’invito a cena in occasione della vigilia di Ognissanti.
Quando ho comunicato a Netitia la mia decisione ella si è detta contrariata. «Non è bene» mi ha redarguito «che lei esca quella notte. Non è mai bene trovarsi da soli quando gli spiriti lasciano i loro sepolcri per camminare tra i vivi». Ho rinunciato quindi a chiederle di far recapitare la risposta al Dottore e ho quindi deciso di recarmi al maniero di persona, onde evitare che lei fingesse distrattamente di farlo recapitare.
Al mio arrivo, sotto il sole del primo pomeriggio, la vecchia magione sembrava di risplendere di una nuova luce, quasi che il ritrovato proprietario avesse sollevato da essa il manto oscuro che l’aveva oppressa per lungo tempo. Ho creduto di sentire di nuovo delle voci concitate rincorrersi per ciò che rimaneva delle desolate stanze ma non ho visto nessuno. Guidato dalla memoria ho ritrovato la strada che conduceva al piano inferiore e lì ho trovato il Dottore, abbigliato in un’elegante veste da camera, intento a riportare alcune cifre su un volume. L’ambiente era piuttosto umido e decadente e gran parte dei libri era stata stipata in casse di legno. Solo uno, il libro dalla copertina di pelle che tanto mi aveva suggestionato, continuava a far bella mostra, in posizione privilegiata, su di un leggio istoriato.
Quando mi ha visto entrare nello spazio ha tirato su la testa infastidito.
«Ancora tu? Non ti è bastato ciò che ti ho dato per tener chiusa la bocca?»
Poi, riconoscendomi, si è prontamente scusato e mi è venuto incontro, allargando le braccia.
«Mi spiace per averla accolta con tanta rudezza, amico mio. Temevo si trattasse di nuovo di quella sanguisuga».
«A chi si riferisce?»
il Dottore ha scosso la testa e agitato le mani come se la mia domanda fosse del tutto superflua. Evidentemente doveva essere fuori di sé.
«Ma a Edmund, naturalmente! Quel contadino irriconoscente! Di punto in bianco ha deciso di lasciare il lavoro e ha voluto essere ricoperto d’oro!»
Mi è veramente dispiaciuto vedere il Dottore tanto turbato. Forse Edmund aveva trovato il modo per estorcergli del denaro, magari minacciando di raccontare qualcosa di spiacevole al quale aveva assistito o era stato in parte responsabile? La fantasia galoppava veloce come non accadeva ormai da giorni e le mie parole sono scivolate fuori dalla bocca, attratte nuovamente da una forza incapace da governare.
«Per caso il suo servo la stava ricattando?»
Il dottore è sbiancato in volto e ha iniziato a farfugliare. Poi si è buttato sulla sedia e ha preso la testa tra le mani.
«Vede, da quando ho ritrovato Jervis poco dopo il mio arrivo, Edmund non è stato più lo stesso. È divenuto scontroso e schivo, non il buon amico che credevo di aver trovato».
«Dunque la stava ricattando» ho azzardato.
«Sì, stava ricattando qualcuno. Non me. Si tratta di Jervis».
«Jervis? Per quale motivo?»
«Per lo stesso motivo che ha portato lei a ritenerlo strano e a provare pena, se non disgusto. Edmund, nonostante la giovane età, è una persona molto superstiziosa. Quando ha saputo del mio ritrovamento di Jervis nel camposanto si è subito detto molto diffidente. La sua ansia deve essere cresciuta, soprattutto in seguito alla profanazione delle tombe. Questa, unita ai bizzarri comportamenti del mio vecchio servo, devono averlo portato lentamente all’esasperazione».
«Ciò mi rattrista ma è anche vero che, per sostenere una simile ipotesi, Edmund abbia senza dubbio dovuto avere qualche sospetto tale da renderlo sicuro delle sue affermazioni. Tanto da far sì che lei cedesse alle sue minacce».
Il dottore si è molto scosso per la mia deduzione. Ha chinato la testa e mi è sembrato che la voce, più che dalla sua gola, provenisse da un antro alle sue spalle.
«Sì, mio malgrado devo ammettere che Edmund sia tutto tranne che uno sciocco. La notte della profanazione Jervis è stato davvero al camposanto. Ma non è lui l’autore di quel sacrilegio. Non lui, lo giuro sull’onore della mia famiglia».
«Per quale motivo si trovava lì, dunque?»
«Per lo stesso motivo per cui mi trovo io qui adesso. Malinconia, suppongo. E perché avevo bisogno che recuperasse per me una cosa dal mausoleo di famiglia».
Ho sentito le mani diventare fredde, quasi scivolose, mentre le dita cercavano il conforto dello schienale di una sedia. Con la gola secca ho quindi domandato di cosa fosse stato incaricato, temendo di sentire la risposta, qualunque essa fosse.
«Una chiave, niente di più» ha detto, per poi trarre da sot
to la camicia una catena d’argento, dalla quale pendeva una chiave vecchia e ossidata.
«Dunque una chiave vale così tanto per voi?» ho chiesto ben poco convinto.
«Le chiavi sono custodi, esattamente come il corpo lo è dell’anima, mio buon amico. Se conoscessimo i segreti del corpo saremmo in grado di guardare attraverso i misteri dell’anima e oltre ciò che si nasconde oltre i confini della vita e della morte. Questa chiave per me non è che un mezzo, per arrivare a un fine altissimo e misericordioso. Mai vorrei che il fido Jervis soffrisse a causa di ciò. Per questo ho pregato Edmund di restare in silenzio e, poiché le parole non sono state sufficienti, mi son visto costretto a pagarlo profumatamente. Se tutti fossero come lei, mio buon amico, curiosi sì ma rispettosi dell’altrui mistero, questo mondo vedrebbe giorni più felici».
Ho sorriso o almeno questo è stato il mio intento al termine della sua confessione.
«Non mi ha ancora risposto, però. Quale porta apre quella chiave?»
Il mio ospite, forse involontariamente, ha diretto lo sguardo verso il corridoio che si perdeva nella tenue luce al suo fianco, al termine del quale, per un istante, mi è sembrato di intravedere una porta.
«Le assicuro, da buon amico» ha risposto diplomaticamente il Dottore «che a qualunque luogo porti ciò che esso contiene non mi è certo più gradito della sua compagnia, di tanto in tanto».
Il mio ospite ha quindi accennato a riprendere la sua trascrizione ed io, senza più apparente motivo per restare, mi sono limitato a confermare la mia presenza alla cena.
sulla via del ritorno le parole del Dottore hanno continuato a fomentare la mia fantasia fino a quando, giunto in prossimità della porta, davanti allo sguardo sbigottito di Netitia, sono stato colto da un’improvvisa intuizione e mi sono diretto senza indugio all’alberghetto di S*******. Là, come avevo intuito, ho trovato Edmund e non è stato difficile per me invitarlo a bere. L’alcol è capace di sciogliere anche le lingue più annodate e, per chi sa ascoltare, è il più dolce tra i metodi persuasivi.
L’ho convinto a raccontarmi la sua versione, fingendo che il Dottore fosse molto rattristato per la sua perdita.
Sostanzialmente ha confermato ciò che il dottore mi aveva riferito poco prima, ma sulla fine del suo racconto, quando il vino era ormai all’apice del suo effetto dopo un istante di autentico stupore capace di arrossare il suo viso, si è detto deciso a non incontrare mai più né lui né quel demonio.
Alle mie richieste di spiegazioni ulteriori è però sembrato piuttosto elusivo. Solo dopo altro vino e dopo aver estratto dalla tasca il bullone della ruota, la sua espressione è mutata.
I suoi occhi si sono spalancati, ha iniziato a scuotere la testa e si è alzato, lasciandomi da solo insieme col conto da pagare. Evidentemente ci sono alcuni segreti che nemmeno la rabbia unita al vino sono in grado di sciogliere.
27 ottobre
Ieri Edmund è stato trovato morto, impiccato nella stalla dell’alberghetto di S*******.
Ne ho ricevuto notizia solo stamattina, quando il medico della zona è passato a farmi visita. Mi ha riferito, con un certo sdegno, che il suicida ha lasciato un biglietto nel quale ammetteva di essere stato lui il responsabile della profanazione del cimitero e che si sia reso responsabile di atti contro natura. Ha chiesto perdono per la sua anima ma è evidente come nessun parroco sia intenzionato ad accordargli la sepoltura in terra consacrata. Il medico è quindi venuto da me per richiedermi ufficialmente il permesso di poter portare il corpo nella città di V*****, dove sarebbe stato donato ai laboratori dell’università.
La notizia mi ha scosso e il medico mi ha chiesto più volte spiegazioni sul mio strano atteggiamento. Ho mentito e ho preferito addurre il mio comportamento al fatto che la vicenda mi avesse molto turbato. Avevo quasi dimenticato che l’uomo che mi stava davanti, quando non era occupato tra gente semplice e modesta, teneva lezioni in vesti azzimate nella prestigiosa università. Quindi, colto da un’improvvisa curiosità, ho domandato se avesse mai sentito parlare di un libro con la copertina di pelle scura e dal nome molto strano. Quando mi ha chiesto se ne conoscessi il nome e gliel’ho riferito, ha come trattenuto un’esclamazione. Dopodichè si è fatto il segno della croce e mi ha pregato di dimenticarne il nome. Non ha voluto sapere né dove l’avessi visto né, tantomeno, da chi ne avessi appreso l’esistenza. Si è fatto scuro in volto, mi ha quindi prescritto un tonico e se ne è andato senza aggiungere altro. Sono rimasto a lungo seduto, con lo sguardo diretto il maniero e solo dopo molte ore, Netitia, credendomi addormentato, è salita nello studiolo per scuotermi la spalla. Ho finto di essermi assopito ma sempre più sono convinto che qualcosa di oscuro si agiti nelle viscere di questo luogo.
31 ottobre, Vigilia di Ognissanti.
La giornata di oggi è trascorsa lenta e noiosa, resa ancora più tediosa dall’attesa per la cena di stasera. Netitia, intuito il mio stato d’animo indolente, ha preferito evitarmi per tutto il giorno, curandosi solo di lasciarmi pronti i vestiti per la cena. Ignora quanto il mio nervosismo sia tutt’altro che dovuto alla nobiltà del mio ospite ma, per il suo bene, è meglio così. Non voglio metterla a parte dei miei timori: nonostante sia una serva fedele e una donna discreta, sono convinto che la voce dei miei sospetti potrebbe spargersi con rapidità. Dal momento che ricopro un ruolo istituzionale, il mio giudizio sarebbe senza dubbio tenuto in considerazione e allora la popolazione potrebbe agitarsi. No, per il bene di tutti la vicenda dovrà essere trattata ancora con la massima cautela.
1 novembre
Ieri sera il dottore mi ha ricevuto con i massimi onori. Con stupore ho dovuto ammettere che, nonostante continui a risiedere in quello che ha tutta l’aria di essere uno scantinato, è riuscito a conferire all’ambiente un tono nobile tale da renderlo irriconoscibile. Tessuti preziosi, libri e candelabri, tutto risplendeva sotto la luce di un grande lampadario di cristallo. Il dottore era gioviale e Jervis, rimasto in un angolo con lo sguardo fisso, pareva giovare del ritorno nell’antica dimora. Non c’è stato accun accenno a Edmund e mi è sembrato spiacevole, visto il clima conviviale, dover entrare nell’argomento.
Ho quindi riposto il bicchiere e ho osservato per alcuni istanti la base decorata, facendone girare la base tra le mani.
«Ho appreso la notizia della morte di Edmund. È stata veramente una vicenda spiacevole, per tutta la comunità».
Il dottore ha lanciato un’occhiata a Jervis e lui è sparito in una stanza attigua. Dopodichè ha incrociato le mani e ha emesso un profondo sospiro.
«Ha avuto ciò che meritava. Dio non avrà certo pietà della sua anima, non dopo ciò che ha fatto. Spero che non abbia colto l’occasione della cena per rivolgermi altre domande spiacevoli».
Deve aver colto il mio sguardo perlustrare la sala, in cerca del dettaglio del quale, in un primo momento, non avevo notato l’assenza. Il libro blasfemo e il leggio erano spariti. Ho scosso la testa e abbiamo ricominciato a parlare animatamente, soprattutto a proposito dei problemi del villaggio. Il dottore si è detto molto interessato in cospicue donazioni e confesso che una parte di me ha pensato che avesse affrontato l’argomento con lo specifico intento di distrarre la mia curiosità. Verso la fine della cena, durante la quale Jervis non ha mai accennato a replicare altri inconsueti comportamenti, un fulmine ha illuminato il cielo, penetrando nella stanza attraverso le basse finestrelle che correvano tutto intorno alla stanza. Il dottore mi ha sorriso conciliante e, senza molti preamboli, mi ha consigliato di rincasare. Stupito per il repentino cambiamento del mio ospite, mi sono affrettato ad annuire.
Ci siamo salutati con una certa fretta, il dottore pareva accrescere la propria fretta a ogni lampo che si disegnava nel cielo. Rimase brevemente fuori, sulla soglia delle antiche mura, a seguire con lo sguardo la mia partenza e in quel momento non avrei saputo dire se lo facesse per i suoi doveri di ospite o se fosse per assicurarsi della mia effettiva partenza.
Netitia era molto sorpresa di vedermi rincasare così presto e, nel vedermi completamente bagnato, ha insistito perché bevessi un latte caldo con cognac.
Ho atteso che la bev
anda fosse pronta e mi sono seduto in poltrona, ad attendere che il cielo terminasse la sua furia sulla terra. Un concerto di fulmini e folgori si è tenuto sopra le valli e le montagne, un tuono o più d’uno hanno colpito la magione in rapida successione e, davanti a quello spettacolo insolito, sono balzato con apprensione sulla sedia, facendo sì che il bicchiere vacillasse nella mia mano. La folgore ha brillato per qualche istante sopra i muri della dimora, ha crepitato spargendo scintille e poi si è esaurita, lascinado nient’altro che uno spettro evanescente dietro di sì, una ferita orizzontale che, nel buio, era divenuta simile a un persistente sorriso.
13 novembre
Nelle ultime settimane si sono verificati strani accadimenti che, a tutt’oggi, restano privi tanto di spiegazione quanto di presunti colpevoli. A inizio del mese le acque del fiume si sono tinte di rosso.
È stato un fenomeno di breve durata ma il prete ha immediatamente riunito i fedeli e ha tuonato dal pulpito invitando tutta la comunità a praticare due giorni di preghiera e digiuno. Che si sia trattato di un fenomeno mistico, naturale o di umana causa non saprei dire. Gli abitanti hanno risposto all’invito del parroco e le acque sono tornate alla consueta limpidezza. Sono un uomo razionale e ben poco incline a credere alla manifestazione dell’ira divina o alle punizioni del demonio. Ciò che, per esperienza, può non essere imputato alla natura, deve essere imputato, per forza di cose, all’azione dell’uomo.
È stata poi la volta del ritrovamento di animali scuoiati ai margini del villaggio, contorti in strane pose innaturali. La macabra scoperta è stata fatta da alcuni bambini che hanno riconosciuto, in alcune delle vittime, i loro animali da compagnia.
Il fatto mi è stato riportato con un certo fastidio da alcuni dei paesani i quali, senza tanti giri di parole, mi hanno intimato di far qualcosa per allontanare i girovaghi accampati a poca distanza dal nostro paese.